Attenzione: saggio, non furbo. Marketing etico è marketing saggio, che nulla ha a che vedere con l’astuzia. Che cosa ci ha insegnato il fenomeno delle scarpe Lidl? Probabilmente nulla di ciò che già non sapessimo, ma ci ha offerto un piccolo e interessante spunto di riflessione. Lo ha offerto ai professionisti del marketing, etico o dirty che sia, e a noi professionisti della comunicazione, più che a psicologi e a sociologi chiamati ad analizzare – chissà poi perché – un meccanismo antico come il mondo, il rapporto causa-effetto nell’interazione umana, quel rapporto sottile che la comunicazione interpersonale e dunque anche quella aziendale e commerciale devono saper modulare mantenendo un equilibrio perfetto. Ed è proprio sul filo del rasoio di questo equilibrio che si gioca la partita tra la saggezza e la furbizia, tra il marketing etico e il dirty marketing. Esageriamo: tra il bene e il male (scritti con le iniziali minuscole perché va bene esagerare ma… senza esagerare).
Torniamo dunque al fenomeno delle scarpe Lidl. Per inciso, nel caso a qualcuno di voi fosse sfuggito, un po’ di giorni fa è accaduto ciò: Lidl, la nota catena tedesca di supermercati sbarcata in Italia negli anni Novanta, ha replicato anche qui da noi un’operazione di marketing già sperimentata con successo in altri Paesi, lanciando nella propria linea di abbigliamento un modello di scarpe e di ciabatte fortemente (molto fortemente, moltissimo) caratterizzate dalla brand image aziendale. Risultato: code folli davanti ai punti vendita Lidl in tutta Italia, in pieno lockdow da pandemia. Presente quando esce un rivoluzionario modello di i-Phone? Ecco, peggio. Dov’è il segreto del successo di questa operazione? Molto semplicemente, nell’ossimoro a prima vista grossolano ma in realtà sottile tra accessibilità ed esclusività: un prodotto a un prezzo risibile e al tempo stesso in edizione ultralimitata (ultralimitata almeno all’inizio, nella fase di lancio a scaffale). Una tensione sottile e vibrante tra due valori apparentemente inconciliabili ma che in realtà incarnano l’identità stessa del marchio in questione: accessibilità e qualità, dove qualità non è ancora esclusività e forse non potrà mai esserlo ma lo diventerà ogni giorno di più nella coscienza dei consumatori. L’operazione scarpe andava proprio in questa direzione.
Una furbata? No, un’operazione saggia: concreta, sottilmente mascherata ma anche pulita. È la differenza, come dicevamo sopra, tra il bene e il male, tra il marketing etico – meglio dire saggio – e il dirty marketing. Perché non c’è nulla di strano nell’abbinare al marketing l’aggettivo “etico”, purché questo venga letto nel suo autentico significato di indagine del comportamento umano e di conseguente azione mirata a qualsiasi obiettivo ma sempre rigorosamente condizionata dal rispetto del prossimo. E se il marketing è prima di tutto l’analisi del mercato e della sua interazione con il brand, ecco che risulta del tutto lecito e naturale che un’azienda ricerchi il profitto e metta in atto tutte le pratiche utili a conseguirlo senza con ciò mancare di rispetto al consumatore. Marketing etico? Di sicuro marketing saggio.
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